La recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, n. 18600 del 30 giugno 2021, in materia di riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio ribadisce il principio della preminenza dell’interesse del minore rispetto al diritto del genitore che voglia ottenerne il riconoscimento.

La pronuncia origina dal ricorso presentato dal padre biologico di una minore, volto ad ottenerne il riconoscimento in via giudiziale, stante il rifiuto espresso dalla madre, sola dei due genitori ad aver riconosciuto la figlia.

Accolta la domanda del padre biologico in primo grado e confermata dalla Corte d’Appello di Venezia, ricorreva per Cassazione la madre della minore, preoccupata che il temperamento violento e la fede musulmana dell’ex compagno potessero rappresentare un pericolo per la crescita e l’educazione della figlia, tenuto conto che a più riprese il padre aveva espresso la volontà di affidare la minore alle cure della di lui madre, residente nel Paese d’origine.

A differenza di quanto accade con riferimento ai figli nati in costanza di matrimonio, per i quali l’art. 231 c.c. prevede un riconoscimento automatico da parte dei genitori, con riguardo ai figli – un tempo detti – “naturali”, ovverosia quelli nati fuori dal matrimonio o da relazioni extraconiugali, trova applicazione l’art. 250 c.c. Nello specifico, i commi 3 e 4 di detto articolo statuiscono che “Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. Il consenso non può essere rifiutato se corrisponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente […]”, al fine di ottenere una sentenza sostitutiva del consenso rifiutato.

La necessità del consenso del genitore che ha già effettuato il riconoscimento trova la propria ratio – come chiarito da consolidato orientamento giurisprudenziale – sia nel fatto che questi rivesta un ruolo rilevante nella vita del minore, sia sul dato secondo cui “l’acquisizione di un nuovo status del minore è idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare”. Motivi questi per cui il genitore che ha già operato il riconoscimento è litisconsorte necessario nel relativo procedimento.

Il Giudice chiamato a decidere dovrà operare un bilanciamento tra non sempre convergenti interessi: da un lato, infatti, il riconoscimento del figlio naturale minore di quattordici anni*, già riconosciuto da un genitore, costituisce un diritto soggettivo primario dell’altro genitore, costituzionalmente garantito dall’art. 30 della Costituzione; dall’altro, il secondo riconoscimento è pur sempre subordinato al preminente e superiore interesse del minore, poiché – come è stato recentemente osservato –il secondo riconoscimento non sempre rappresenta un vantaggio per la prole.

Un bilanciamento, potrebbe dirsi, tra la necessità di affermare la verità biologica e l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, asservendo e contemperando ambedue le esigenze al “best interest” del minore.

Nel caso che qui ci occupa, sulla scorta delle argomentazioni che precedono, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello per aver la stessa omesso di dar rilevanza alle allegazioni prodotte dalla madre della minore, dalle quali emergeva una “sostanziale abitualità della condotta violenta e prevaricatrice del padre biologico nei confronti della madre (stessa) e dei suoi familiari, frutto di un modello culturale di rapporti di genere” che ben avrebbe dovuto essere considerata nel bilanciamento richiesto al Giudice di prime cure.

Ne discende, dunque, che il genitore che chieda una pronuncia sostitutiva del consenso del genitore che ha già “riconosciuto”, potrà vedersi rigettare la domanda, qualora nell’ottica del supremo e preminente interesse al pieno sviluppo della personalità ed all’integrità psico-fisica del minore, non risulti idoneo ad assolvere gli obblighi genitoriali previsti dalla legge. È in quest’ottica che ci pare doversi leggere il dispositivo della Corte di Cassazione, escludendosi che il mero orientamento religioso, come invece potrebbe sembrare da una lettura della pronuncia degli Ermellini non costituzionalmente orientata, possa mai essere assunto come parametro di giudizio per l’idoneità o meno ad essere un buon genitore.

* l’età del minore è stata abbassata dai sedici – precedentemente previsti – ai quattordici anni dall’art. 1, c. 2, l. 219/2012

DNLEX – Genitore violento e musulmano: no al riconoscimento del figlio naturale – A cura della dott.ssa Roberta MELISSANO