Brutte notizie per chi porta il nome e il cognome di grandi marche.

Ai sensi degli articoli 21, comma 1, lett. a), e 22 del Dlgs 10 febbraio 2005, n. 30, un segno distintivo costituito da un nome anagrafico, se validamente registrato da terzi come marchio non può essere adottato, in settori merceologici identici o affini, né come marchio, né come denominazione della compagine sociale. E tale divieto vale anche per la persona che legittimamente abbia quel nome e cognome angrafico.

Così conclude la Cassazione nella sentenza n. 3806 del 25 febbraio 2015, dopo avere statuito che nell’ambito dell’attività economica e commerciale il diritto al nome subisce una compressione se è già divenuto oggetto di registrazione da parte di terzi.

Secondo la Suprema Corte è contrario alla correttezza professionale e ai principi di leale concorrenza l’inserimento nella denominazione sociale del nominativo di uno dei soci, coincidente con il nome proprio di un terzo che sia già marchio registrato; a meno che detto inserimento sia giustificato dalla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attività, ai prodotti o ai servizi offerti. Non è tale la mera esigenza di volere inserire il nome proprio di un socio nella denominazione sociale.

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