Può la società non emettere fattura e quindi non pagare l’IVA su somme che non incassa?

In tema di locazione di immobile per uso commerciale la recente sentenza della Cassazione n. 21621 del 23 ottobre 2015 (pdf. Cass 21621_15 ) ha statuito che la società, in caso di morosità del conduttore, non è tenuta ad emettere fattura e, quindi, non può esserle contestato il mancato versamento dell’IVA prevista dal contratto di locazione.

Secondo la Suprema Corte, rispettosa del proprio precedente (Cass. 13209/2009), l’articolo 3, comma 3, e l’articolo 6, comma 3 primo periodo, del Dpr 633/72, stabilisce che «le prestazioni di servizi sono soggette a Iva solo se rese verso un corrispettivo e si considerano effettuate al momento del pagamento». Secondo tale norma, pertanto, il momento impositivo correlato alla tassazione cd. “indiretta” relativa all’Imposta sul Valore Aggiunto coincide con l’incasso del corrispettivo. Sino a tale momento non sussiste obbligo di fatturazione né di versamento dell’Iva.

Ha, quindi, correttamente agito la società che ha evitato di emettere fatture per i canoni non pagati dal conduttore moroso e, quindi, evitato il versamento della relativa IVA.

Con la stessa sentenza, tuttavia, la società locatrice è risultata  soccombente rispetto all’accertamento relativo alla mancata corresponsione dell’imposta cd. “diretta sul reddito. Con la mancata fatturazione, infatti, risultava minore il fatturato e il conseguente reddito dell’impresa.

Secondo la Cassazione, la società avrebbe dovuto comunque considerare l’importo dei canoni non percepiti come posta attiva della società, indipendentemente dal loro incasso. Ed invero, per il Giudice Supremo «per le locazioni d’immobili non abitativi il legislatore tributario ha previsto la regola generale di cui all’articolo 23 (ora 26) del Tuir secondo cui i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro percezione». Non è quindi richiesta la materiale percezione del provento per la formazione del reddito d’impresa. Il canone deve essere dichiarato, ancorché non percepito, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione e fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo.

Solo con la cessazione del contratto di locazione i canoni non concorrono più alla formazione del reddito d’impresa.

Naturalmente, al fine di evitare che gravino sull’impresa locatrice le conseguenze della morosità del conduttore, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) prevede, con riferimento ai redditi delle società, che i canoni non riscossi possono essere dedotti come ‘perdite su crediti’ se viene provata la certa insolvenza del conduttore-debitore «non bastando a tal fine il semplice sfratto o l’accertamento giudiziale della morosità» (Cassazione sentenze 651/12 e 11158/13). La certezza dell’insolvenza è per l’Agenzia delle Entrate sicuramente provata a fronte di una procedura concorsuale conclusa, ovvero di un verbale negativo di pignoramento.

Diversamente, per le locazioni di immobili adibiti ad uso abitativo, è sufficiente che l’accertamento sia avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità.

DNLEX – DE NISI LAWYERS NETWORK: NIENTE FATTURA SE L’INQUILINO NON PAGA (Cass. 21621/2015)