Con due recenti pronunce, la Corte di Cassazione ha operato una vera e propria inversione di rotta in materia di risarcimento del danno non patrimoniale, derivante da odori, fumi o rumori molesti causati da vicini di casa, poco attenti a quanto ed a chi li circonda.

La prima pronuncia, n. 23754 del 1° ottobre 2018, occasionava dalla turbativa generata dai fumi, dagli odori e dal calore provenienti dalla canna fumaria di un ristorante posto al piano terra di un immobile, tale da arrecare conseguenze insopportabili per i condomini che l’abitavano. La seconda pronuncia, n. 19434 del 18 luglio 2019, originava dai rumori “oltre soglia” provenienti da un’attività di revisione auto, che gli inquilini del palazzo antistante all’officina erano costretti a subire.

Ambedue le fattispecie, dunque, ricadevano nell’alveo della disciplina di cui all’art. 844 c.c., a mente del quale “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà […]”.

Accertata la “intollerabilità” delle emissioni, attraverso un prudente apprezzamento rimesso al giudice di merito, il vicino di casa che sia stato molestato dalla condotta illecita altrui avrà diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, che ne costituiscano conseguenza causale.

Avendo riguardo al danno non patrimoniale, nella sua duplice dimensione ontologica di danno biologico e di danno morale, la Corte di Cassazione ha precisato che quest’ultimo ricorre “allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazioni delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo [..]”, indipendentemente dalla ricorrenza o meno del danno biologico (Cass. 23754/2018).

Quanto al profilo probatorio, nelle pronunce in esame, la Suprema Corte ha preso le distanze dal suo precedente orientamento, secondo il quale l’esistenza di un danno non patrimoniale era da ritenersi in re ipsa, discendendo direttamente dall’illiceità delle immissioni “oltre soglia” (Cass. 4693/1978; Cass. 2580/1987; Cass. 5844/2007; Cass. 2864/2016). Argomentando sulla scorta delle note sentenze c.d. di San Martino, infatti, la Suprema Corte, ponendo l’accento sulla doppia rilevanza del danno: sia come evento lesivo, retto da un principio di causalità materiale, sia come insieme di conseguenze risarcibili, il quale è invece retto da un principio di causalità giuridica, ha precisato che soltanto il danno-conseguenza del fatto illecito è oggetto dell’obbligazione risarcitoria, poiché il solo fatto lesivo non è sufficicente a far sorgere un’obbligazione risarcitoria. (Cass. 19434/2019).

Sulla scorta di tali argomentazioni, ha dunque consacrato il seguente principio di diritto “il danno non patrimoniale subito in conseguenza di immissioni di rumore superiore alla normale tollerabilità non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno risarcibile con la lesione del diritto (fatto lesivo) ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, per il quale non vi è copertura normativa” (Cass. 19434/2019).

Ne discende, quindi, che il danneggiato da immissioni “oltre soglia”, che chieda in giudizio il risarcimento del danno non patrimoniale, è tenuto a provare secondo la regola dell’art. 2697 c.c. di aver subito la lesione del proprio diritto alla salute ovvero un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa, potendosi a tal fine avvalersi anche di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base però di elementi indiziari diversi dall’esistenza di immissioni superiori alla normale tollerabilità.

In tal modo e nel rispetto delle indicazioni offerte dalla Suprema Corte, ben potranno ricevere giusto ristoro dei disagi subiti tutti coloro che siano stati costretti ad un’alterazione delle normali abitudini di vita e della routine quotidiana, a causa delle turbative moleste poste in essere dai propri vicini di casa, dimentichi delle regole del “buon vicinato” prima ancora del dettato codicistico.

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Articolo a cura della dott.ssa Roberta MELISSANO