Non si può ottenere il cambio di identità senza avere prima eliminato e poi ricostruito l’apparato genitale riproduttivo. Questa è la recente pronuncia del Tribunale di Vercelli che, dopo avere dato atto del contrasto giurisprudenziale nelle corti di merito, conclude per un interpetazione letterale delle norme della legge n. 164 del 1982 e del Dlgs n. 150 del 2011.

Il testo delle due norme può, infatti, causare dubbi interpretativi sul presupposto richiesto per il cambio di identità, lasciando all’interprete capire se sia sufficiente il cambio dei soli aspetti ‘secondari’ (peluria, zigomi, voce, pomo d’adamo ecc.), oppure sia necessario il cambio anche del primario segno distintivo tra uomini e donne. Vale a dire l’apparato genitale.

Secondo il Tribunale di Vercelli l’art. 12 delle preleggi, che impone di dare rilievo nell’interpretazione delle norme anche alla volontà del legislatore, non ammette dubbi: il legislatore del 1982 riteneva necessaria la trasformazione dell’apparato genitale, prima di potere accedere al cambio di identità (art. 1 Legge 164/1982). E se il legislatore del 2011 avesse voluto modificare la vecchia normativa lo avrebbe fatto esplicitamente, specificando la sufficienza della modifica dei soli aspetti secondari (cfr. art. 31 Dlgs. 51/2011).

Così recita, infatti, l’articolo 1 della Legga 164/1982: “La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attibuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali“. Nessun dubbio, quindi, per il Tribunale di Vercelli, che il termine ‘carattere sessuale’ voluto dal legislatore del 1982 sia riferito al principale segno sessuale distintivo tra uomini e donne.

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