Le chiusure e i vincoli imposti alle attività commerciali, artigianali ed industriali hanno portato ad un aumento delle cause di sfratto per morosità, viste le difficoltà dei conduttori a pagare il canone di locazione con l’attività chiusa o parzialmente impedita.

Molti si sono dunque domandati: in un momento storico in cui mi viene imposta la chiusura del negozio/capannone/ristorante ecc. posso essere sfrattato?

Il Tribunale di Milano ha affrontato questa nuova problematica e, al fine di supportare i Giudici nella decisione del caso concreto, ha predisposto delle linee guida interne per le udienze di convalida di sfratto.

Anzitutto, se il mancato pagamento riguarda la totalità dei canoni si ritiene che il contratto non possa essere conservato e che debba essere convalidato lo sfratto.

In caso di inadempimento parziale, invece, per evitare lo sfratto, i giudici milanesi ritengono che il conduttore debba aver versato al locatore almeno il 50% dei canoni dovuti per i mesi di chiusura/limitazioni della propria attività.

La soluzione sopra menzionata trae ispirazione dall’art. 216 del Decreto Rilancio che prevede per le realtà maggiormente colpite dalla pandemia (palestre, piscine ecc.) la possibilità di ottenere una riduzione del canone di locazione di almeno il 50%.

Pertanto, se per queste attività (palestre, piscine ecc.) il legislatore ha ritenuto che la riduzione del 50% del canone riequilibri il rapporto contrattuale, allora, a maggior ragione, per le realtà meno colpite dal Covid-19 non può sussistere un equilibrio contrattuale laddove i canoni siano stati pagati meno della metà del dovuto.

Diversa valutazione viene invece effettuata per i giudizi ordinari, ove il Giudice ha il tempo ed il modo di valutare le peculiarità di ogni fattispecie e non ha a disposizione solo gli atti introduttivi e pochi minuti per decidere, come avviene durante le udienze di sfratto a Milano.

A causa di questo improvviso dissesto economico, inoltre, accade spesso che sia lo stesso conduttore a volersi liberare del contratto di locazione, divenuto troppo oneroso. Ma attenzione, non basta addurre, come grave motivo, la semplice pandemia come fatto noto che ha colpito l’economia mondiale.

Per ottenere questo risultato, la strada migliore parrebbe la domanda di recesso per gravi motivi, supportata da idonea documentazione provante lo stato di crisi dell’attività.

Viene invece sconsigliata la risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione (poiché permane il godimento almeno parziale dell’immobile) e la risoluzione per eccessiva onerosità (in quanto il locatore potrebbe paralizzare l’azione chiedendo di riportare il contratto ad equità).

Riassunto del Corso tenuto dai giudici Milanesi nel maggio 2021, a cura dell’Avv. Melissa Calzi

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