Con riferimento alla coltivazione di piante da cui si ricavano sostanze stupefacenti, la Corte di Cassazione Penale, Sezione VI, ha recentemente statuito che per valutare il disvalore della condotta e, quindi, la sua gravità per poi calibrare il calcolo della pena, non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza dell’accertamento. Ossia non può incidere sulla valutazione della gravità della condotta lo stato attuale di coltivazione (solo iniziale, oppure avanzato, ovvero esaurito).

Si deve, invece, tenere conto della conformità delle piante al tipo botanico di cui è vietata la coltivazione e la loro attitudine a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente utilizzabile per il consumo. Nel valutare questa attitudine vengono in rilievo anche le modalità tecniche e la cura della coltivazione applicata dal reo.

Diversamente, infatti, sostiene la Suprema Cortesi darebbe ingresso ad un improprio criterio di punibilità differenziata in base allo stato della coltura, laddove, invece, l’offensività della condotta si radica nella sola idoneità della coltivazione a produrre la sostanza per il consumo.

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